Fratture anca, rapporto metaboliti vitamina D predice meglio il rischio?



In soggetti adulti anziani, un rapporto più basso tra due metaboliti della vitamina D (24,25-diidrossivitamina D/25(OH)D) sarebbe in grado di predire in modo più efficace il rischio di frattura d’anca rispetto ai soli livelli circolanti comunemente misurati di 25(OH)D. Queste le conclusioni di uno studio di recente pubblicazione sulla rivista Bone, condotto da una equipe di ricercatori USA.

Da tempo esistono alcuni studi che suggeriscono come la valutazione dello status vitaminico D basata sulle sole concentrazioni di 25(OH)D possa essere non ottimale. Non solo: esistono anche documentazioni conflittuali in letteratura sulla relazione tra i livelli di 25(OH)D, la densità ossea e la manifestazione di fratture, che sembrano perorare ulteriormente l’ipotesi sopra enunciata.

Per queste ragioni, sono stati proposti alcuni marker alternativi, dei quali il rapporto tra i due metaboliti della vitamina (24,25- diidrossivitamina D e 25(OH)D) è attualmente uno dei più studiati.

Per saggiarne il potere predittivo anti-frattura, i ricercatori hanno analizzato i dati provenienti da 890 pazienti selezionati in modo randomizzati, di età uguale o superiore ai 65 anni, che erano stati inclusi nel “the Cardiovascular Health Study”, uno studio osservazionale e longitudinale di coorte, che aveva iniziato il reclutamento pazienti nel lontano 1989. I pazienti avevano un’età media di 78 anni, erano in maggioranza di sesso femminile (60%) e il 16% era di etnia Afro-Americana.

I ricercatori hanno utilizzato per la loro analisi i dati provenienti dai campioni ematici prelevati nel biennio 1996-1997 come dati basali dello studio.

A questo punto, i ricercatori hanno valutato le misurazioni sieriche di PTH e dei due metaboliti della vitamina D sopra indicati, come pure quelli relativi alla densità minerale ossea a livello dell’anca misurati nel biennio 1994-1995 (n=358).

Allo scopo di valutare il rischio longitudinale di incidenza di frattura d’anca, i ricercatori si sono avvalsi per il loro studio di un disegno caso-coorte, identificando i partecipanti della coorte complessiva di pazienti che erano andati incontro a frattura d’anca dopo la visita basale effettuata nel biennio 1996-1997 (n=214) e mettendo a confronto le misure dei metaboliti della vitamina D con quelle dei 75 pazienti che erano andati incontro a frattura d’anca nella coorte di pazienti selezionati in modo randomizzato.

All’interno della coorte, la concentrazione media di 25(OH)D era pari a 28 ng/mL; il 58% dei pazienti aveva livelli di vitamina D uguali o inferiori a 30 ng/mL. La concentrazione media di 24,25-(OH)2D era pari, invece, a 1,7 ng/mL mentre il rapporto medio tra i due metaboliti era pari a 6,84 (ng/mL)/(ng/mL).

Avvalendosi di analisi di regressione lineare, per valutare l’associazione esistente tra le misure di vitamina D e la DMO, nonché di modelli di Cox adattati per valutare l’associazione tra le misurazioni di vitamina D e l’incidenza di fratture d’anca, i ricercatori hanno osservato, nei modelli aggiustati, che ciascun incremento unitario percentuale delle concentrazioni dei due metaboliti della vitamina D e del loro rapporto era associato ad una misurazione dei livelli di PTH inferiore dello 0,32%, 0,25% e 0,26%, rispettivamente.

Considerando i 358 partecipanti allo studio dei quali erano noti i dati di DMO, i ricercatori non hanno osservato la presenza di nessuna associazione tra le misure di DMO, di 25(OH)D e quelle relative al rapporto tra i due metaboliti della vitamina D; tuttavia, una misurazione di livelli più elevati di 24,25(OH)D è risultata associata ad un incremento modesto della DMO.

Quanto all’analisi caso-coorte sul rischio di frattura d’anca, i ricercatori non hanno documentato l’esistenza di un’associazione tra i livelli di 25(OH)D e il rischio di frattura d’anca.

Invece, ogni incremento unitario della devizione standard dei livelli di 24,25(OH)2D è risultato associato ad una riduzione del 27% del rischio di frattura nei modelli aggiustati. Inoltre, in modo analogo a quanto osservato nel caso precedente, ciascun incremento unitario della devizione standard del rapporto tra i due metaboliti della vitamina D analizzati è risultato associato ad un rischio di frattura all’anca ridotto del 26%.

In conclusione, “…lo studio ha dimostrato come un rapporto più basso tra due metaboliti della vitamina D sia in grado di predire il rischio di frattura in questa coorte di individui, a differenza di quanto visto per la 25(OH)D – scrivono i ricercatori -. (…) Sono ora necessari nuovi studi che siano in grado di determinare come si possa intervenire su questo rapporto e se un incremento del suo valore possa effettivamente essere di aiuto nel prevenire l’insorgenza di fratture”.

NC

Bibliografia
Ginsberg C et al. The 24,25 to 25-hydroxyvitamin D ratio and fracture risk in older adults: The cardiovascular health study. Bone 2017; e-pub ahead-of-print
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