Artrite reumatoide: la vitamina D funziona in presenza di malattia conclamata?



In presenza di artrite reumatoide (AR) conclamata, è necessario utilizzare dosi più elevate di vitamina D di quelle comunemente impiegate o, in alternativa, ricorrere ad un trattamento in grado anche di correggere la mancata sensitività della vitamina delle cellule immunitaria intra-articolari.

Questo il messaggio principale proveniente da uno studio di recente pubblicazione su the Journal of Autoimmunity che suggerisce un nuovo approccio al trattamento dell’AR e delle altre malattie infiammatorie in grado di ripristinare i benefici della vitamina D osservati prima dell’insorgenza dell’infiammazione.

Razionale dello studio
Da tempo è noto in letteratura, come il calcitriolo (1,25(OH)2D3), ovvero la forma attiva della vitamina D, sia in grado di promuovere risposte anti-infiammatorie in diverse tipologie cellulari, a suggerirne un impiego potenziale nella prevenzione e/o nel trattamento dei disturbi a base infiammatoria.

“La vitamina D è un potente modulatore del sistema immunitario – ricordano gli autori nell’introduzione al lavoro. – Studi epidemiologici suggeriscono come molte malattie ad eziologia autoimmunitaria e alcune malattie infiammatorie croniche comuni, come l’AR, siano associate ad un deficit vitaminico D e come alcuni metaboliti di questa vitamina, come il calcitriolo, possano rappresentare una strategia alternativa nella prevenzione e/o nel trattamento dell’AR, ad esempio in aggiunta alle terapie farmacologiche per l’AR disponibili”.

“Le cellule Th1 secernenti IFN-gamma e le cellule Th17 secernenti IL-17 – continuano i ricercatori – sono considerate dei mediatori importanti di infiammazione cronica sinoviale e alcuni studi hanno documentato la presenza, nel fluido sinoviale dei pazienti con AR, di livelli elevati di queste cellule e delle relative citochine rispetto ai controlli, come pure a livello ematico e delle articolazioni dei pazienti affetti da AR”.

La capacità del calcitriolo di influenzare la funzione delle cellule T è di particolare rilevanza in presenza di AR, dal momento che queste cellule si accumulano nella sinovia dei pazienti con AR e che i fattori di rischio genetico noti di AR sono ampiamente associati all’attivazione delle cellule T.

Scopo dello studio, pertanto, è stato quello di approfondire le conoscenza sul possibile impiego della vitamina D come terapia per l’AR, determinando se gli effetti anti-infiammatori del calcitriolo sono raggiungibili dalle cellule T infiltranti i siti infiammatori.

Disegno dello studio e risultati principali
I ricercatori hanno condotto la loro analisi su campioni duplicati di cellule T prelevate dal fluido sinoviale e dal sangue periferico di pazienti con AR attiva.

Dai risultati è emerso che il calcitriolo aveva un effetto soppressivo significativamente ridotto nei confronti delle cellule Th17 provenienti dal fluido sinoviale rispetto a quelle di provenienza ematica e nessun effetto sulle cellule T CD4 e CD8 (provenienti dal fluido sinoviale) sulle cellule T secernenti IFN-gamma.

I ricercatori hanno anche documentato una predominanza, nel fluido sinoviale, di cellule T memoria, come pure una minore efficacia del calcitriolo nei confronti di queste cellule rispetto alle cellule T naive e che tale osservazione non dipendeva da una ridotta espressione del recettore della vitamina D nelle cellule T memoria.

Ulteriori esperimenti condotti con cellule T CD4, stimolate e selezionate in base all’espressione di IL-17 e IFN-gamma, hanno confermato l’abilità del calcitriolo di sopprimere le citochine pre-esistenti, anche se il metabolita attivo della vitamina D si è rivelato più efficace nel sopprimere l’induzione de novo delle due citochine sopra menzionate.

Di conseguenza, la risposta delle cellule T al calcitriolo è risultata direttamente correlata con la capacità di variazione fenotipica delle cellule, che è risultata più bassa nelle cellule provenienti dal fluido sinoviale rispetto a quelle di provenienza ematica.

Implicazioni dello studio
In conclusione, il calcitriolo può essere efficace nel prevenire l”insorgenza di infiammazione ma lo è di meno una volta che si è già instaturata la condizione infiammatoria a livello articolare, come nel avviene con l’AR attiva: in quest’ultimo caso, infatti, gli effetti anti-infiammatori del calcitriolo nell’AR attiva sono alterati a causa dei ridotti effetti del metabolita vitaminico sulle cellule memoria T.

Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come “…lo studio suggerisca che il mantenimento di livelli sufficienti di vitamina D potrebbe aiutare a prevenire l’insorgenza di malattie infiammatorie come l’AR ma anche che, nei pazienti con AR conclamata, la semplice supplementazione vitaminica potrebbe, al contrario non essere sufficiente. Di qui l’ipotesi che siano necessarie dosi più elevate di vitamina D da supplementare, o che sia auspicabile il ricorso ad un nuovo trattamento che sia in grado di bypassare o correggere la condizione di mancata sensibilità alla vitamina D delle cellule immunitarie intra-articolari”.

I ricercatori non hanno nascosto la loro sorpresa per il risultato inatteso ottenuto: “Inizialmente ritenevamo che le cellule di provenienza sinoviale dovessere rispondere alla vitamina D in maniera non dissimile da quelle di provenienza ematica. Il fatto che ciò non sia avvenuto ha implicazioni importanti su quello che pensiamo attualmente sull’utilizzo della vitamina D per trattare l’infiammazione”.

Nel sottolineare la peculiarità dello studio, i ricercatori hanno peraltro ricordato come il loro lavoro “…a differenza dei precedenti, abbia isolato differenti tipologie di cellule immunitarie in corrispondenza dei siti di malattia, allo scopo di determinare quali sottotipi cellulari specifici mostrassero sensitività equivalente alla vitamina D”.

NC

Bibliografia
Jeffery LE et al. Decreased sensitivity to 1,25-dihydroxyvitamin D3 in T cells from the
rheumatoid joint. J Autoimmun. 2017 Oct 21. pii: S0896-8411(17)30420-1. doi: 10.1016/j.jaut.2017.10.001. [Epub ahead of print]
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