Vitamina D in pediatria, perché è importante la supplementazione



Nonostante le evidenze sui benefici della vitamina D, la maggior parte dei bambini italiani ne è carente. Questa condizione, che va dall’insufficienza al deficit, riguarda oltre un bambino su due, con punte massime nel periodo neonatale e nell’adolescenza che raggiungono percentuali del 70%.

La vitamina D viene normalmente prodotta nella pelle che, grazie alla radiazione solare, trasforma il deidrocolesterolo, un derivato del colesterolo, in vitamina D3 o colecalciferolo. Per essere attiva la molecola deve passare prima nel fegato e poi nel rene per diventare l’ormone 25-(OH) 2 -colecalciferolo.

La maggior parte della vitamina D che ci occorre viene prodotta dalla pelle esposta ai raggi solari, ma è presente anche in alcuni alimenti come il pesce grasso (salmone, aringhe, sardine), fegato di pesce, tonno in scatola, tuorlo d’uovo, burro, verdure a foglia verde e alimenti addizionati con vitamina D come alcuni tipi di latte.

Fattori di rischio per la carenza vitamina D in pediatria

Il più importante è l’attività sedentaria e il fatto di trascorrere sempre meno tempo all’aria aperta ed esposti ai raggi solari. In Italia, che è al di sopra del 35° parallelo, l’organismo sintetizza vitamina D dalla fine della primavera, per tutta l’estate, fino all’inizio dell’autunno. Per gran parte della primavera, per tutto l’inverno e gran parte dell’autunno non siamo in grado di produrla anche se esposti ai raggi solari, perché questi arrivano obliqui e non hanno la capacità termica di trasformare il precursore della vitamina D nella sostanza attiva. La prima attivazione è un meccanismo termico, ossia la pelle che viene scaldata, motivo per cui la protezione solare non ne riduce la produzione.

«Per capire se l’esposizione ai raggi solari consente di produrre vitamina D basta mettersi al sole e osservare la propria ombra: se è più lunga della nostra altezza significa che i raggi solari sono così obliqui che non sono sufficientemente in grado di attivare il passaggio da pre-vitamina D a vitamina D» ha spiegato il Prof. Attilio Boner, già Ordinario di Pediatria, Università degli Studi di Verona, che abbiamo incontrato in occasione del congresso nazionale della FIMP, la Federazione Italiana Medici Pediatri.

Altri fattori di rischio sono le malattie croniche, come nel caso del bambino che soffre di epilessia: è difficile che faccia molta attività motoria e i farmaci antiepilettici alterano il metabolismo della vitamina D. Oppure i pazienti con scarso assorbimento, con fibrosi cistica, con celiachia, i bambini con la pelle scura che alla nostra latitudine non ne producono a sufficienza. O ancora i vegani, che hanno uno scarsissimo apporto della vitamina attraverso l’alimentazione, i pazienti che hanno infezioni ricorrenti, quelli con asma grave o con dermatite atopica particolarmente impegnativa.

L’obesità è un importante fattore di rischio, ha continuato Boner. L’adolescente obeso è quello che ha i livelli più bassi di vitamina D e che deve essere supplementato probabilmente anche in estate, perché la vitamina D è liposolubile e viene sequestrata dal tessuto adiposo, senza poter essere utilizzata. In questi soggetti la dose da utilizzare è più elevata, anche 2 o 3 volte rispetto ai soggetti normopeso.

Cosa fare nei bambini prematuri o allattati al seno

Nei bambini prematuri si usa lo stesso dosaggio di vitamina D dei bambini nati a termine. In alcuni casi si preferisce partire con le 600 unità invece che con 400, ma si può tranquillamente utilizzare lo stesso dosaggio, ha sottolineato Boner.

Il latte materno contiene quantità insufficienti di vitamina D, che nel migliore dei casi possono raggiungere le 50 unità internazionali in un litro, quindi un bambino per ottenere le 400 unità raccomandate dovrebbe bere 8 litri di latte al giorno. Anche in questo caso la supplementazione è indicata.

Rapporto tra vitamina D e calcio

«Comunemente si pensa che il bersaglio della vitamina D sia l’osso, mentre in realtà favorisce essenzialmente l’assorbimento di calcio e fosforo a livello intestinale, in modo che la calcemia, ossia la concentrazione di calcio nel sangue, abbia valori ottimali» ha detto Boner. «Come conseguenza dell’assorbimento, il calcio viene depositato nelle ossa favorendo la crescita della massa ossea, importante perché il patrimonio di calcio che abbiamo in età adulta dipende da quello “realizzato” nei primi 16 anni di vita. Il calcio si trova in svariati alimenti, al punto che nei soggetti che hanno una dieta normale non vi è necessità di un’integrazione, mentre la supplementazione con vitamina D va mantenuta sostanzialmente per tutta la vita».

Studi recenti suggeriscono inoltre che la vitamina D promuova anche il funzionamento del sistema immunitario e alcune funzioni neuromuscolari.

Perché nei bambini è aumentato il rischio di fratture?

Bambini e adolescenti, che registrano i deficit più elevati di vitamina D, conducono stili di vita errati, come passare molte ore chiusi in casa davanti al computer o alla tv, trascorrono meno tempo all’aria aperta e hanno ridotto l’attività motoria rispetto al passato, soprattutto quella che comporta un maggior carico sulle ossa. Una muscolatura meno forte o una peggiore calcificazione ossea, uniti a bassi livelli di vitamina D, rendono più facile il verificarsi di fratture ossee nella giovane età. «L’attività che fa meglio a un bambino e che è più importante per lui è giocare, deve essere il suo “lavoro”. Una volta rientrato da scuola nel pomeriggio non dovrebbe avere compiti da fare ma avere il tempo di giocare, attività peraltro utile anche allo sviluppo cerebrale» ha concluso Boner.