Vitamina D, serve personalizzare il trattamento



Oltre 30 esperti di fama internazionale si sono riuniti in una tre giorni scientifica a Monteriggioni (Siena), che terminerà domani 13 settembre, per affrontare tutte le controversie che ruotano intorno alla Vitamina D.
 
Appropriatezza terapeutica e personalizzazione del trattamento con vitamina D sono stati i temi al centro della “Second International Conference on Controversies in Vitamin D”, summit globale, organizzato sotto l’egida del Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group (GIOSEG) che ha coinvolto oltre trenta dei massimi esperti a livello mondiale in una tre giorni scientifica interamente dedicata all’ormone del sole.
 
Gli esperti, riunitisi a Monteriggioni (Siena), attraverso l’analisi dei più recenti studi scientifici e il confronto sull’esperienza clinica hanno condiviso e discusso ogni aspetto rilevante della vitamina D, dosaggi,somministrazione, effetti scheletrici ed extrascheletrici, con l’obiettivo di raggiungere un consenso sulle questioni ancora aperte, proseguendo così il lavoro iniziato l’anno scorso alla prima edizione del Meeting.
 
“Questo Summit rappresenta la naturale evoluzione di quanto abbiamo iniziato nel 2017 a Pisa, dichiara il Professor Andrea Giustina, Professore Ordinario di Endocrinologia al San Raffaele di Milano, Presidente GIOSEG e Coordinatore del Comitato Scientifico del ‘Second International Conference on Controversies in Vitamin D’, un percorso che sta iniziando a dare risposte a tutte quelle domande cruciali per noi specialisti, la nostra pratica clinica e soprattutto per i pazienti, data l’importanza che la vitamina D riveste per il loro benessere”.
 
La Vitamina D, sintetizzata principalmente dalla cute attraverso l’esposizione solare, aiutando l’organismo ad assorbire il calcio è essenziale nella salute dell’osso, una sua carenza può quindi comportare una ridotta mineralizzazione ossea e l’insorgenza di osteoporosi e rachitismo. Trattandosi di un ormone, tuttavia, è necessario eseguire una corretta anamnesi del paziente per accertarne il deficit, eventualmente ricorrendo al test nei soggetti che presentano particolari condizioni di rischio e successivamente intervenire in maniera adeguata.
 
“Appropriatezza terapeutica e personalizzazione della cura devono essere le parole chiave nel trattamento di un paziente con ipovitaminosi D, afferma Giustina. In primo luogo è fondamentale accertare il deficit e procedere con la somministrazione di colecalciferolo solo in quei pazienti che ne hanno reale necessità; in secondo luogo la somministrazione va modulata ad personam, in base alle caratteristiche del singolo individuo. Aspetti fisiologici, come una scarsa esposizione solare dovuta ai cambiamenti negli stili di vita, aspetti parafisiologici, invecchiamento o gravidanza, condizioni naturali in cui la carenza di vitamina D può intaccare la salute dell’osso (anche del feto), e aspetti patologici concomitanti, celiachia, obesità o diabete e terapie croniche come quella cortisonica che limitano o influenzano l’assorbimento, la sintesi e all’azione della vitamina D, sono tutti elementi fondamentali da considerare quando si va a prescrivere una terapia di supplementazione. Il nostro compito è quello di promuovere una cultura dell’appropriatezza per evitare sia l’inefficacia della somministrazione sia l’insorgere di possibili effetti collaterali sia per un’ottimizzazione delle risorse”.
 
“La popolazione anziana ha meno probabilità di avere adeguati livelli di vitamina D perchè si espone meno alla luce solare e perché l’efficacia della luce solare nel determinare una produzione adeguata di vitamina D
 
con l’andare avanti degli anni diminuisce” ha sottolineato il prof. Stefano Gonnelli, professore di Medicina Interna e Semeiotica Medica all’Università di Siena e presidente SIOMMMS ai microfoni di Pharmastar.
 
“Nel nostro Paese non c’è la cultura dell’arricchire gli alimenti con vitamina D per cui quando c’è una carenza accertata in un soggetto dobbiamo ricorrere alla supplementazione con preparati già predisposti” ha aggiunto Gonnelli.
 
“La vitamina D può contribuire anch’essa ad effetti scheletrici portando ad aumento del rischio di fratture. Il rischio di diabete aumenta con i bassi valori di vitamina D e accanto a questo c’è anche aumento del rischio di retinopatia diabetica e di un danno renale espresso come microalbuminuria. Normalizzando lo stato di vitamina D quando questo è deficiente si può avere un rischio ridotto di diabete o rischio ridotto delle complicanze diabetiche” ha evidenziato il prof. Ranuccio Nuti, ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi di Siena.
 
La vitamina D è collegata anche a sovrappeso ed obesità, come ha sottolineato il prof. Nicola Napoli, divisione di endocrinologia e diabete-Università Campus Bio-Medico di Roma: “I pazienti obesi presentano bassi valori di vitamina D e questa è una delle cause di aumento del rischio di fratture con aumento del rischio di mortalità di circa il 10%. In questi soggetti la vitamina D va somministrata a dosaggi più elevati rispetto ai soggetti normopeso, quindi dalle 3000 alle 6000 unità al giorno fino al raggiungimento del target di valori normali, e successivamente si passa alle 3000-4000 U al giorno”
 
Gli argomenti affrontanti durante la ‘Second International Conference on Controversies in Vitamin D’ saranno oggetto di pubblicazioni scientifiche destinate agli specialisti con l’obiettivo di continuare a fare importanti passi avanti su un terreno sempre più condiviso, nonostante l’ambito così controverso, a vantaggio della pratica clinica e del benessere dei pazienti.