Creme solari e rischio ipovitamosi D: che fare?



La notizia, di per sé, non è una novità assoluta e nemmeno, a dirla tutta, inaspettata, dati i meccanismi ormai noti di produzione cutanea di vitamina D stimolati dalla luce solare. Adesso, però, ci sono le ultime conferme di uno studio: le creme ad elevata protezione solare, utilissime in funzione anti-melanoma, espongono maggiormente al rischio di ipovitaminosi D.
Se ne è parlato nel corso di una sessione all’interno dei lavori del congresso della Societa’ Italiana di Medicina Estetica (SIME) che ha appena chiuso i battenti a Roma.

Perchè preoccuparsi della carenza di vitamina D in un paese dove l’irraggiamento solare non è certo un problema?
L’Italia, sia pur in modo diverso in ragione della latitudine, può, senza tema di smentita, essere definito come un paese baciato dal sole. Eppure, paradossalmente, le condizioni carenziali di vitamina D non rappresentano, purtroppo, un’eccezione. Queste condizioni si riscontrano, soprattutto, nella popolazione anziana che, come è noto, è meno esposta, tradizionalmente e in ragione della minore mobilità e di altri acciacchi, alla luce solare, nonchè maggiormente necessitante dell’apporto benefico della vitamina D sulla salute delle ossa.

Ma la prevalenza di condizioni deficitarie di vitamina D, sia pur in misura minore rispetto al passato, è in crescita anche nell’età infantile, nell’adolescenza e nell’età adulta, in ragione del minor tempo dedicato alle attività all’aria aperta e passato, invece, in maggior parte, in luoghi chiusi.

Mentre i paesi del nord-Europa, proprio in ragione del minor irraggiamento solare, hanno intrapreso politiche di fortificazione degli alimenti con vitamina D per sopperire al fabbisogno giornaliero (paradosso scandinavo: meno irraggiamento solare= minore ipovitaninosi D), i paesi del Mediterraneo stanno fronteggiano una crescita delle condizioni carenziali di vitamina D proprio perchè viene meno il maggior contributo al fabbisogno vitaminico giornaliero, rappresentato dalla luce solare, per le ragioni sopra descritte.

Importanza e problemi di ipovitaminosi D conseguenti l’impiego di creme solari ad elevata protezione
L’efficacia anti-melanoma delle creme solari è, d’altro canto, fuori discussione: a livello molecolare, infatti, la luce UV del sole danneggia il Dna cellulare della pelle, creando mutazioni genetiche che possono portare al cancro della pelle. Per questo motivo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato le radiazioni UV solari come cancerogeno comprovato per l’uomo, con studi che lo collegano a circa il 90% dei tumori della pelle non-melanoma e a circa l’86% dei melanomi. Naturalmente, maggiore è il fattore di protezione solare e maggiore sarà l’azione profilattica della crema solare sulla fotocarcinogenesi.

Ma che succede alla vitamina D? Quanta ne viene effettivamente prodotta dopo applicazione di creme solari a protezione solare elevata?
Nello studio ricordato al congresso, i ricercatori hanno valutato l’effetto di una crema a protezione solare elevata (SPF50+) sulla produzione di vitamina D cutanea e sui livelli circolanti di vitamina D attiva in base alle diverse aree superficiali del corpo (BSA, body surface area).
L’area della superficie corporea interessata dall’applicazione della crema solare era localizzata a livello di testa e mani (gruppo I), testa, mani e braccia (gruppo II), testa, mani, braccia e gambe (gruppo III) e corpo in toto (gruppo IV)

Relazione area interessata da fotoprotezione raggi solari e livelli vitamina D: risultati contrastanti
Lo studio, illustrato dal dott. Domenico Centofanti (vice-presidente SIME) nel corso di un Simposio all’interno dei lavori del congresso, ha documentato una riduzione della produzione di vitamina D cutanea variabile dal 75,7 al 92,5% a seconda del gruppo BSA considerato (estensione area applicazione crema solare). Tuttavia, i valori della vitamina D circolante nel sangue si sono ridotti parzialmente (-7,7, -13,2%), a suggerire che l’uso a breve termine dei filtri solari non esercita un impatto rilevante sui livelli di vitamina D circolante.
Come mantenere un’efficace fotoprotezione senza ridurre i livelli di vitamina D?
Lo studio non aveva tra i suoi scopi quello di stabilire se, quanto osservato con l’impiego delle creme solari fotoprotettive nel breve termine, fosse valido anche con il loro utilizzo cronico.

Che fare nel frattempo?
In attesa di ulteriori studi che diano risposte a quesiti ancora insoluti, il dottor Centofanti suggerisce di “esporsi al sole almeno per 20 minuti a giorni alterni aiuta a ‘ricaricare’ l’organismo di vitamina D; tenendo però presente che la pelle delle mani o del viso è meno efficiente di quella del tronco nel produrre vitamina D”.
Poi c’è da considerare l’alimentazione (pesci grassi, uova in misura minore) che, come è noto, contribuisce solo al 20% del fabbisogno quotidiano giornaliero di vitamina D.
Infine, durante la stagione fredda e in assenza, in generale, di esposizione alla luce solare per problemi di mobilità (persone anziane) o culturali (donne con il velo) il ricorso all’integrazione vitaminica è invece raccomandato.

Fonte: Congresso SIME (Società Italiana Medicina Estetica)