Rachitismo: malattia del passato o ancora attuale? Cosa dice la Consensus italiana



Era considerata, a torto, una malattia del passato, praticamente scomparsa o confinata nei paesi in via di sviluppo o nei testi di Storia della Medicina. E invece, numerosi studi epidemiologici ne hanno documentato ancora la presenza anche nei paesi industrializzati.

Parliamo del rachitismo carenziale, una condizione tipica dell’età evolutiva, caratterizzata da una ridotta mineralizzazione del tessuto osseo neoformato e da ridotta o assente calcificazione endocondrale della cartilagine di accrescimento, con successiva deformazione.

Il rachitismo è la conseguenza estrema di una condizione di deficit di vitamina D e, per questa ragione, al suo trattamento è stato dedicato un intero capitolo nella Consensus sulla Vitamina D in età pediatrica, un documento presentato a Stresa in occasione del congresso annuale della SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale) e consultabile integralmente sul sito web dell’associazione.

Qualche dato storico ed epidemiologico

Il rachitismo è una malattia che viene dal passato: la prima comparsa nella letteratura medica del termine rachitismo risale al 1634 nel registro delle cause di mortalità di Londra.

“Negli anni della Rivoluzione Industriale era frequente il palesarsi di casi di rachitismo in quanto l’inquinamento e lo smog riducevano nettamente l’esposizione alla luce solare – ricorda ai nostri microfoni il dott. Francesco Vierucci, Dirigente Medico della Divisione di Pediatria dell’Ospedale di Lucca, incontrato a Stresa in occasione della presentazione, al Congresso SIPPS, della Consensus sulla Vitamina D in età pediatrica. – Pertanto, i bambini di allora vivevano in ambienti umidi e malsani e bui e, chiaramente, erano esposti, nelle fasi di accrescimento, ad un deficit grave di vitamina D.”

Ma come si è arrivati a capire che il fattore chiave del rachitismo carenziale era proprio la vitamina D?

Già nel XIX secolo, Trousseau (1861) e Palm (1890) avevano intuito, in modo del tutto empirico, come una ridotta esposizione alla luce solare potesse causare lo sviluppo del rachitismo.

Si è però dovuti arrivare al ventesimo secolo per arrivare ad un chiarimento dell’etiopatogenesi di questa condizione. Nel 1919, infatti, Edward Mellanby documentò un effetto benefico di alcuni alimenti, quali l’olio di fegato di merluzzo, nel prevenire l’insorgenza del rachitismo, ascritto ad un ancora non identificato “fattore antirachitico”.

Qualche anno più tardi, invece, Elmer Mc-Collum identificò questo fattore antirachitico proprio con la vitamina D, la quarta vitamina liposolubile fino ad allora conosciuta.

Nel corso degli anni il rachitismo carenziale non è scomparso ma, al contrario, alcuni studi epidemiologici hanno documentato, a livello globale, un incremento dei casi di malattia, in particolare nei paesi più sviluppati (Inghilterra, America del Nord, Nuova Zelanda, Europa).

“Le ragioni di quanto osservato – spiega il dr. Vierucci – sono molto semplici : il rachitismo continua ad esistere anche nel nostro Paese in quanto non si è ancora riusciti ad eliminare i fattori responsabili del deficit di vitamina D.”

Uno dei fattori di rischio principali consiste nella ridotta esposizione solare della popolazione pediatrica dei paesi industrializzati, in ragione dell’elevata urbanizzazione e dell’adozione di stili di vita sedentari che riducono giochi e tempo trascorso all’aria aperta.

A ciò si aggiungano motivazioni di tipo socio-culturale religioso: “Nei paesi sviluppati – aggiunge il dr. Vierucci – sono a rischio particolarmente elevato di rachitismo i bambini figli di immigrati e i bambini adottati, in quanto l’esposizione solare di queste popolazioni pediatriche è limitata non solo dall’adozione di stili di vita cittadini, che limitano le ore passate all’aria aperta e costringono a trascorrere molto tempo in ambienti chiusi, ma anche da tutta una serie di abitudini culturali – ad esempio l’utilizzo del velo nelle bambine di religione islamica come pure nelle gestanti. –

Tra queste popolazioni, inoltre, è prassi comune il ricorso esclusivo e prolungato all’ allattamento al seno in assenza di profilassi vitaminica.

Ora, pur essendo vero che il latte materno è l’alimento sicuramente migliore per l’alimentazione del bambino, d’altro canto esso non contiene quantità sufficienti di vitamina D per prevenire il rachitismo.

Da qui l’importanza del ricorso alla profilassi della vitamina D nei periodi di massimo accrescimento, non solo nei primi 2 anni di vita ma anche negli adolescenti.”

Diagnosi di rachitismo

La diagnosi di rachitismo carenziale si basa sull’interpretazione di reperti clinici, radiografici e biochimici.

La diagnosi clinica di rachitismo viene posta in base ad una serie di segni classici scheletrici che si evidenziano all’esame obiettivo dei bambini e, in particolare, di quelli più piccoli. I segni classici scheletrici sono legati all’accumulo di tessuto osteoide (non mineralizzato a seguito del deficit grave di vitamina D) a livello metafisario, in corrispondenza delle cartilagini di crescita che si deformano, si allargano e si sfrangiano.

Ad esempio, a livello degli arti è possibile osservare la comparsa di braccialetto e caviglia rachitici, mentre sul torace si po’ osservare la presenza del cosiddetto “rosario rachitico” che altro non è che lo slargamento a livello della giunzione condro-costale.

“Il riconoscimento dei segni classici di rachitismo non è esclusiva del pediatra specialista – sottolinea il dr. Vierucci – ma può essere tranquillamente affidato al pediatra di famiglia durante le visite di controllo di routine dei bambini così come la valutazione di eventuali fattori di rischio di deficit di vitamina D.”

“Esistono, poi – continua il dr. Vierucci – anche dei segni non scheletrici di rachitismo, in ragione della molteplicità di azione della vitamina D, come, ad esempio, la promozione del tessuto e del tono muscolare.”

Esempi di manifestazioni extra-scheletriche del rachitismo sono la presenza di un ipotono muscolare legato ad una miopatia prossimale, la presenza di dolori ossei diffusi, vaghi, piuttosto aspecifici, che, in particolare negli adolescenti, possono essere riferiti dagli stessi come difficoltà a salire le scale.

La distinzione in segni scheletrici e non scheletrici di rachitismo è utile nel porre diagnosi di rachitismo nelle diverse fasi dell’età pediatria: ”I segni scheletrici – spiega il dr. Vierucci – prevalgono nei bambini più piccoli mentre quelli extra-scheletrici sono più comuni negli adolescenti.”

Entrambe queste classi di età sono a rischio di rachitismo perchè entrambe sono caratterizzate da un’elevata velocità di crescita staturale e, quindi, da un fabbisogno di minerali sicuramente superiore rispetto ad altre età della vita.

Mentre le indagini radiologiche permettono di individuare le alterazioni scheletriche responsabili di buona parte del quadro clinico precedentemente descritto, le indagini di laboratorio consentono di seguire la storia naturale del rachitismo carenziale e si basa sulla valutazione dei livelli di idrossivitamina D [25(OH)D], di paratormone (PTH) e di fosfatasi alcalina (ALP).

 

Trattamento del rachitismo carenziale

Una volta posta la diagnosi clinica di rachitismo, individuato i fattori di rischio alla base del deficit osservato, evidenziato mediante radiografia la presenza di alterazioni scheletriche e condotto alcuni esami di laboratorio che confermano il deficit vitaminico e la presenza di alterazioni più o meno gravi dei livelli di PTH e di ALP, è possibile impostare un trattamento profilattico di questi bambini e di questi adolescenti, basato, essenzialmente, sulla somministrazione di vitamina D sotto forma di ergocalciferolo (vitamina D2) o colecalciferolo (vitamina D3), mentre non è raccomandato l’utilizzo dei metaboliti o degli analoghi dei metaboliti della vitamina D (calcifediolo, alfacalcidolo, calcitriolo, diidrotachesterolo).

 

“In estrema sintesi – afferma il dr. Vierucci – è possibile instaurare un regime di somministrazione giornaliera di vitamina D per un periodo di circa 8-12 settimane oppure, nei bambini più grandi e, in particolare, negli adolescenti, è possibile prendere in considerazione una terapia con boli, quindi con dosi intermittenti di vitamina D.”

“A tal riguardo – continua il dr. Vierucci – è opportuno ricordare, ai fini della prevenzione degli eventi collaterali, che la dose complessiva somministrata di vitamina D non deve superare le 300.000-400.000 UI, e come non siano al momento raccomandati boli in dose unica superiori alle 300.000 UI.”

E’ poi opportuno un attento monitoraggio del trattamento, sia per confermare l’avvenuta guarigione della patologia, sia per proseguire, terminata la terapia, con un regime profilattico di mantenimento a base di vitamina D per prevenire la recrudescenza della patologia e assicurare ai bambini/adolescenti, il fabbisogno vitaminico specifico previsto per la loro età.

Le raccomandazioni della Consensus sulla Vitamina D in età pediatrica prevedono, inoltre, la somministrazione di calcio per via endovenosa in caso di ipocalcemia acuta sintomatica o per os in caso di ipocalcemia asintomatica o di normocalcemia, per prevenire la cosiddetta “sindrome dell’osso affamato” (hungry bone syndome).

 

“Ciò – spiega il dr. Vierucci – in quanto il trattamento profilattico del rachitismo con vitamina D, che comporta un rapido ed importante incremento dei livelli di mineralizzazione ossea e la conseguente risoluzione della patologia, può determinare anche l’insorgenza di un’ipocalcemia secondaria al trattamento vitaminico, prevenibile con la somministrazione di calcio nel corso delle prime settimane di trattamento.”

 

Bibliografia

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